È arrivato il vento del nord, rimescola il cielo e sferza gli alberi. Le lancette dicono che siamo sottozero, malgrado un sole di cristallo.
Il banco dei fiori ha una piazzola in tramontana. Gazebo, funghi riscaldanti, tutto appare esile sotto le frustate di bora.
Tulipani, gerbere, primule, sembrano così incongruenti con noi vestiti come Inuit.
La pandemia impone una fila distanziata, imbacuccati attendiamo il nostro turno per acquistare un mazzo di primavera. Studio la natura dentro i vasi, voglio scegliere qualche cosa che porti allegria ad un'amica sola. Ho deciso: rami di pesco. Primeggiano le composizioni di fiori rossi pronti per il Valentino che si ricorda domani. Quando dietro di me arriva un signore anziano sorretto da un girello. Cammina come una tartaruga nella sabbia e ad ogni folata di vento sembra non farcela. Nello sguardo di chi è in coda e dei commessi del banco leggo la medesima domanda: “era proprio necessario che in quelle condizioni si muovesse in una giornata così?”
Veniamo serviti in contemporanea, lui con un sorriso candido sfila dalla tasca cinquanta euro e dice: «voglio il mazzo più bello e ci aggiunga pure un cuoricino!».
Penso agli sforzi che ha fatto per arrivare sin lì, ai sentimenti di quell'uomo per la donna che riceverà il dono. Ecco, la tenerezza.
La commessa si prodiga per confezionargli un mazzo che lui possa trasportare con il suo supporto di gambe.
Io sento gli occhi lacrimare, ma so che non è colpa del vento.